L’iniezione placebo alle Partite IVA

Sono la titolare di uno dei pochi centri zerosei sperimentali toscani. Orgogliosa di essere riuscita in otto anni a costruirmi una solida reputazione.

Il punto è che, come tutte le attività di piccole imprese, in questo momento soffro di liquidità, incertezza, assenza di aiuti. Le partite IVA sono i malati terminali di questo virus a cui è stata concessa una “cura placebo” che li traghetterà, con pie illusioni, verso la morte.

Mi sento di dire che il sistema, che in questo macabro teatrino, potrebbe essere individuato come la direzione sanitaria, abbia già la diagnosi e si sia attivata per accompagnarci ad esalare l’ultimo respiro.

Il farmaco placebo sono le inconsistenti cure contenute nel decreto “cura Italia” e dobbiamo anche ringraziare per l’opportunità concessa. Siamo rientrati, senza essere stati avvisati, nel gruppo di controllo. La direzione sanitaria raccoglierà i dati di chi sarà sopravvissuto all’emergenza. C’è solo un particolare da considerare; non abbiamo potuto scegliere se rientrare nel gruppo di controllo o in quello di cura.

Sopravvivrà solo chi avrà una buona base economica e potrà permettersi un’iniezione di liquidità data dalle proprie risorse personali e non chi, per anni, ha sacrificato tempo, denaro, accettando il rischio di fare impresa, utilizzando i ricavi per accrescere la professionalità.

Siamo soli! Soli con le nostre preoccupazioni, i nostri impegni economici.

Fino ad ora non ho ricevuto un sostegno per poter superare questo momento. L’unica proposta che mi è stata sottoposta è ridicola, quasi offensiva per la mia dignità e per il lavoro svolto e che potrei svolgere ancora.

Sono una donna, madre di tre figli, felicemente separata che si è messa in gioco ed ha accettato la sfida di provare a crearsi un lavoro. Non ho mai pensato di arricchirmi, il mio obiettivo è sempre stato quello di crescere i miei figli e trasmettere valori ed ideali a chi mi stava intorno.

Il mio lavoro è una sorta di missione. Tutti i giorni accudisco bambini e sostengo genitori. Lo staff è composto da donne, tutte nella mia situazione che amano il loro lavoro e credono di poter far qualcosa per un mondo migliore.

Stavo per dimenticare, sono parte di quel tessuto imprenditoriale squisitamente femminile! Quel tessuto che tanto la politica afferma di voler sostenere, ma questa è un’altra storia!

Nonostante l’agonia, provo a pensare alla ripartenza con i suggerimenti, che la direzione sanitaria sta mettendo in campo, …nessuna che abbia un minimo di pensiero sullo sviluppo corretto psicoaffettivo del bambino o un pensiero sulla gestione emotiva di questo periodo sia per i bambini sia per i genitori e anche delle educatrici che a loro volta sono genitori. Nel nostro caso specifico, tutte mamme con figlie e per giunta separate!

I suggerimenti, finora proposti, mi sembrano in linea con concetto ospedaliero e non con un contesto di normalità educativa o anche terapeutico

Distanziamento sociale con i bambini, obbligo di mascherine, braccialetto elettronico (si parla di bambini non di delinquenti agli arresti domiciliari!) scansione della temperatura, igienizzazione, sanificazione. Sembra un argomento di processi produttivi più che un pensiero rivolto a delle persone.

Mi rendo conto che il distanziamento da parte delle istituzioni non è solo economico, ma anche sociale! Questi benpensanti hanno mai interagito con un bambino, con un genitore preoccupato?

L’idea di adottare mascherine, braccialetti o qualsiasi altra forma di “controllo contagio” mette alla gogna tutta la letteratura psicologica centrata sulle emozioni, l’affettività e il bisogno di cura che ha contraddistinto ciò che ho studiato e messo in pratica in tutti questi anni.

Mi viene in mente, per citare un esempio semplice, la ricerca di Harlow condatta sui macachi relativa all’attaccamento e l’amore.

L’esperimento venne condotto negli anni ’50, un’epoca in cui la psicologia era ancora agli albori su molte delle questioni che oggi si danno per assodate. In sostituzione della madre reale venne data loro la possibilità di ricevere cibo e coccole da due madri surrogate: una mamma morbida e calda sulla quale era possibile arrampicarsi e avvinghiarsi, una mamma metallica rappresentata da un impianto di fil di ferro a cui era associata la tettarella di un biberon.

Che cosa accadde? Qualcosa che lasciò, i nostri sperimentatori, a bocca aperta: i cuccioli di macaco, per nulla intenzionati a rinunciare ad una delle due alternative, tendevano a trascorrere la maggior parte del tempo abbracciati alla mamma morbida e a rivolgersi alla mamma metallica solo per il tempo necessario a succhiare il latte.

Rispetto ad altri cuccioli del laboratorio che avevano accesso solo al nutrimento ma non al contatto corporeo, queste scimmiette dimostrarono di crescere meglio fisicamente e di sviluppare un comportamento esplorativo più sicuro e intraprendente.

Non ho studiato e non mi sono laureata per permettere di tornare al paleolitico della cultura psicologica! Non sono disposta a rimetterci oltre ai soldi l’investimento culturale, dato da più di venti anni di attività.

Perciò credo che prenderò il mio ciottolo di riso e me ne andrò per altri lidi. Non ha senso veder vanificato il lavoro da persone che non sanno neppure cosa sia una relazione empatica!

Alla politica il mio sentito e più caloroso ringraziamento per il sostegno in questo momento dedicando loro una nota strofa di Bob Dylan “la risposta, amico mio, sono parole al vento”


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