Lo Scrigno

"Se penso a tutti i programmi che avevo fatto per i miei 50 anni sorrido... li metto insieme a tutti quelli che ho visto dissolversi nell'ultimo anno e mezzo. Spazio vuoto, cose semplici e la consapevolezza di questo periodo…ho bisogno di alleggerire le spalle, perché è da troppo tempo che sono cariche di pesi che non ho voluto e non ho chiesto. E poi ci sono le mie ali. Ci sono io che ho bisogno di volare" (Alda Merini)


Quante volte mi sono lasciata andare, sono caduta e poi, lentamente, mi sono rialzata? Non lo so neppure io. Ogni scivolone, ogni caduta ha lasciato dei segni che ora osservo con affetto e ammirazione perché ciascuno ha contribuito a costruire la donna che ora sono. Ho 50 anni e posso affermare che ci sono parti di me che li avvertono, altre che si sentono ancora tremendamente giovani e inesperte.

La mia vita è ricolma di avvenimenti dai tratti decisamente drammatici, ma ognuna di queste esperienze ha rappresentato un passaggio importante per la mia trasformazione. Una mia amica ci definisce “sorelle del perpetuo disordine” e mi piace pensare al mio “disordine” come ad un'occasione di crescita interiore che lentamente sta forgiando la Giovanna che un tempo pensavo non potesse neppure esistere, ma che più emerge dalle ceneri più mi piace.

Sono nata da una coppia di genitori separati che a loro volta avevano altri figli; all'attivo ho quattro fratelli viventi, purtroppo il più giovane è morto molti anni fa…e questa è una delle cicatrici che porto nel mio cuore. La relazione fra i miei genitori è sempre stata caratterizzata da un rapporto complesso. Fino ai miei vent'anni ho vissuto in simbiosi con mia madre cercando, inconsapevolmente, di essere la copia perfetta della figlia, la madre e la moglie che lei avrebbe voluto essere. A quel tempo, complice l'età o la mia parte razionale mixata con l'attitudine di cercare la mediazione, non mi rendevo conto che lei mi stava inserendo nel suo quadretto non permettendomi la costruzione del mio.

L'umore di mia madre cambiava in virtù della presenza di mio papà. Fra noi due c'era un tacito segreto e, come tale, non poteva assolutamente uscire dalle mura di casa. Il segreto era la forma di depressione che l'avvolgeva ad ogni suo allontanamento. Un mantello pesante e grigio che condizionava le nostre giornate fino alla sua ricomparsa. Lei improvvisamente lasciava cadere il pesante mantello e si rendeva attraente per lui con il sorriso stampato sulle labbra e tanta voglia di essere amata per ripiombare nella sua tristezza non appena lui si allontanava dal focolare. Tristezza che leggevo attraversa l'accentuarsi della sua irritabilità nei miei confronti. Forse, in qualche modo, le ricordavo quella relazione tanto tormentata ed io diventavo il bersaglio inconsapevole della sua rabbia nei confronti del suo compagno. 

Ho accettato il ruolo, non perché fossi votata al martirio, ma perché ero convinta che lei avesse bisogno di un conforto affettivo ed io mi sentivo in dovere di non deluderla. Così facendo mi sono costruita un mio castello di carta dove a spingere le mie mosse era la ragione che giustificava e placava la mia parte emotiva desiderosa di trovare la giusta strada chiudendo in uno scrigno l'emozione pura e lasciando spazio solo ad un flebile sentire. Per molti anni le mie decisioni, i mei sentimenti e le mie emozioni profonde sono rimaste chiuse in quello scrigno.

Lo scrigno era a chiusura stagna e forse è stata la mia fortuna per la prima parte della mia vita. La ragione mi ha permesso di tenere a bada i momenti bui e nel tentativo di salvarla mi sostituivo nel suo ruolo e diventavo io la madre che non solo accudiva emotivamente la figlia, ma si preoccupava di portare a casa i soldi necessari per poter provvedere alle spese. Persino la mia scelta universitaria è stata condizionata all'esigenza di starle vicino portandomi a scegliere un percorso differente da quello che avrei voluto. 

All'epoca era convinta di avere la capacità di sentire. Il timone, però, era governato dalla mia razionalità. Una razionalità che mi illudeva di provare emozioni forti e di saperle riconoscere. In realtà fra le mie mani stringevo una torcia per esplorare i miei anfratti, ma era spenta.

Ringrazio la mia razionalità perché mi ha salvata da un sicuro naufragio. La morte di mio fratello, avvenuta in modo improvviso, la conseguente depressione di mio padre, l'incidente che ha coinvolto mia nonna, mia zia, mia sorella, il mio piccolo cugino di soli due anni e me. Gli unici superstiti di quel terribile giorno siamo stati mio cugino, mia sorella ed io. Conservo una cicatrice evidente sulla gamba che mi porta spesso la memoria a quel giorno. L'indicente di mia sorella che ha rischiato l'amputazione di una gamba e che ancora oggi la costringe ad una lieve zoppia.

In questo contesto non ho perso il controllo, anzi, sono riuscita a costruire una vita con l'uomo che amavo, sono diventata madre, ho concluso gli studi laureandomi ed avviando un'attività in proprio.

La mia famiglia era perfetta. Lui un giovane architetto, io un giovane avvocato. Una casa stupenda che rispecchiava i nostri gusti e due figli meravigliosi e una nonna che si prendeva cura dei miei bambini. Ero contenta. Nonostante i traumi della mia gioventù ero riuscita a sopravvivere emotivamente e realizzarmi in tutti gli ambiti desiderati da mia madre e rispecchiati nel mio progetto di vita.

Fintanto che mia madre è rimasta in vita sono riuscita a tenere i cocci insieme, poi, alla sua morte, qualcosa si è frantumato. Ho iniziato a provare un forte senso di frustrazione. Avvertivo qualcosa d'insolito, come se il mio corpo fosse tutto annodato e qualcosa stesse stringendo inesorabilmente fino a farmi scoppiare. La sensazione corporea era presente in modo costante e mi rendeva sempre più nervosa ed irritabile. Una tortura, non eccessivamente dolorosa, ma senza tregua. Il mio atteggiamento verso la vita, la famiglia si è modificato: non tolleravo più nulla.

La preoccupazione che qualcosa in me non funzionasse mi ha portata ad una visita ginecologica, temevo si trattasse di una menopausa precoce. Solo con la consapevolezza di ora posso immaginare che la mia corsa dal ginecologo fosse imputabile sì alle mie ovaie e al mio utero, ma in chiave di rinascita. La trasformazione era iniziata e come tutte le trasformazioni si è portata con sé molto dolore.

Il mio atteggiamento irritabile, unito all'incapacità di ascoltare i bisogni miei e di chi mi stava vicino, ha portato mio marito a cercarsi un'avventura extraconiugale che ho scoperto quasi subito, ma che non sono riuscita a tollerare.

La separazione è stato l'ultimo colpo d'accetta inflitto alla vecchia Giovanna. I due anni seguenti mi hanno portata sul ciglio della depressione. Non avevo più voglia di nulla. Faticavo ad alzarmi dal letto, mi trascinavo in ufficio come una larva in fin di vita. Quel periodo è stato veramente duro da superare e ringrazio i miei due fratelli per l'amore e le cure che mi hanno mostrato. Sono stati un balsamo per le mie ferite e mi hanno permesso di riscattare il maschile perverso di cui avevo fatto esperienza.

Ho iniziato a prendermi cura di me partendo dal mio corpo. Mi sono regalata un lunghissimo trattamento olistico, dove la mia guaritrice ha iniziato ad occuparsi di tutti i nodi della memoria corporea. Quante lacrime ho versato su quel lettino, quante immagini sono riaffiorate alla mia memoria. I massaggi, i trattamenti sul mio corpo hanno aperto lo scrigno. Finalmente qualcuno si prendeva cura della mia pelle, delle mie cicatrici ed io mi lasciavo curare. Lentamente e inesorabilmente ogni cicatrice è emersa dal profondo e la mia giaritrice l'ha coperta di balsamo riparatore. La mia trasformazione era stata attivata, le antiche catene si erano spezzate e anche se smarrita e impaurita per ciò che sarebbe potuto accadere non mi sono fermata ed ho proseguito il mio cammino con un aiuto psicologico.

Ero pronta ad accendere la torcia e illuminare ogni parte oscura, dopotutto la torcia era fra le mie mani fin dall'inizio della mia storia, si trattava solo di accenderla, indossare l'attrezzatura necessaria e buttarmi fino al centro del mio cuore e della mia anima. La terapia mi ha permesso di mettere in ordine i ricordi, i torti subiti hanno fatto emergere anche l'abuso del mio allenatore. Ho sofferto? Si tantissimo, ma mi sono liberata e sono partita andando incontro alla Giovanna che mi attendeva da molti anni.

L'incontro fra le due Giovanne è stato bello e commuovente. Si sono abbracciate a lungo, hanno pianto e sorriso ed ora la piccola Giovanna si sente sempre più forte e pronta ad affrontare la vita e ogni tanto si gira e saluta la Giovanna che fu e la ringrazia con affetto. Senza di lei non sarei la donna, la mamma, l'amica e l'amante che ora sono.



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COMMENTI

Laura 15-01-22 11:04
Molto ben scritto, attuale e coinvolgente
Giada16-01-22 21:26
Molto coinvolgente e commovente. Storie tristi ma belle da condividere.♥️
Donna Incanto18-01-22 8:45
Grazie Laura e Giada. Le storie sono scritte affinché ciascuna di noi possa uscire dai tormenti dell'anima e iniziare un nuovo percorso

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