Volo d'aquila

Libera l'aquila interiore dalla gabbia delle paure. Vola alto ed avrai il potere della visione, come l'aquila potrai guardare il mondo da una prospettiva ampliata. (Ily Ramone)


La mia casa custode di tutta la mia vita. Sono nata e cresciuta fra queste mura, prima da figlia e ora da giovane donna sposata. Qui ho pronunciato le mie prime parole, ho conquistato i primi passi e ho passato le miei giornate all'aperto, nel giardino, giocando con i miei fratelli. Vedo mio padre che mi abbraccia e mi riempie di baci, mia mamma che prepara deliziose torte. Ogni angolo di questa casa è un ricordo e mi sento protetta all'interno di queste mura. Un abbraccio che contiene le mie emozioni e mi solleva da pensieri pesanti sul futuro.

Fra i pensieri di oggi c'è sicuramente l'esito degli esami a cui mi sono sottoposta recentemente. Lavoro in fabbrica, in una ditta che tratta materie plastiche e da qualche tempo avverto una strana stanchezza per cui il mio medico mi ha prescritto una batteria di esami per valutarne l'origine.

Non ho voglia di lasciare che la mia mente si metta a fantasticare su malattie incurabili, oggi è il mio anniversario di matrimonio ed ho solo voglia di festeggiare la mia vita con la mia dolce Matilde e mio marito.

Mi siedo sul divano e cerco una ricetta sfiziosa per una torta. Mi metto comoda e mi lascio affascinare da ricette con panna montata, crema e frutta fresca.

Il telefono squilla. Rispondo prontamente. "buongiorno dottoressa, attendevo la sua chiamata!". La sua voce è imbarazzata. "sono arrivati gli esiti degli esami che ti ho prescritto, Dovresti passare in ambulatorio questa sera." "c'è forse qualcosa che non va? Mi mette ansia la sua voce e la sua richiesta!!". "Vieni in ambulatorio questa sera, così ne parliamo con calma".

Resto seduta in silenzio per qualche minuto, i miei piedi iniziano a battere sul pavimento. "No, non posso accettare che mi stia succedendo qualcosa di brutto! Non oggi, non domani e neppure nei giorni a venire! Maledizione, sono giovane, ho ventinove anni! Ho una vita davanti a me!".

Avverto dei colpi ripetuti alla testa, come se qualcosa o qualcuno mi stia picchiando.

Un solo pensiero squarcia il mio cervello. "Non c'è nulla che tu possa fare, Il tuo destino è segnato e morirai presto!"

I piedi continuano a battere insistentemente sul pavimento. Sembrano tachicardici.

Non so quanto tempo sia passato prima di riuscire a gestire lo tsunami di emozioni.

Mi preparo e mi reco nell'ambulatorio medico.

Il verdetto è leucemia!

"Ci deve essere per forza un errore. Mi sento solo stanca. Forse perché lavoro troppo. La bambina mi prosciuga e quando rientro a casa sono sempre indaffarata. Mi prescriva qualche vitamina e prometto che da domani non mi prodigherò più ad essere sempre perfetta ed efficiente"

"Roberta, non è sufficiente cambiare stile di vita e prendere un complesso vitaminico. Purtroppo gli esami sono chiari. Tu hai la leucemia e dovrai affrontare, al più presto, cure specifiche e mirate per poter guarire. Ti preparo subito la ricetta per una visita con l'ematologo urgente. Sei giovane, il tuo fisico è forte e vedrai che ne uscirai".

Esco dall'ambulatorio incredula. I miei piedi sono piombo, ogni passo che dall'ambulatorio mi conduce alla macchina è difficile. Mi sembra di avere delle zavorre pesantissime che mi impediscono i movimenti. Rovisto nella borsa alla ricerca delle chiavi. Salgo in macchina, avvio l'auto e mi accendo una sigaretta. "Cazzo, tutto questo il giorno del mio anniversario di matrimonio!".

Non sono ancora riuscita a chiamare Francesco per riferirgielo. Non riesco a dirlo a me stessa, figuriamoci come potrei riuscire a comunicarglielo. Francesco si agita per nulla, quando lo informerò cosa mi sta succedendo dovrò essere forte anche per lui. So quanto mi ama e quanto si preoccupi per me.

Accendo un'altra sigaretta. Forse riuscirà a calmarmi.

Il percorso fino a casa è ovattato, è come se la mia auto avesse inserito il pilota automatico per riportarmi nel luogo che mi dà la sensazione di accoglienza.

Scendo, percorro il vialetto che mi conduce a casa, apro la porta e sprofondo sul divano aspettandolo.

La porta si apre e Francesco appena mi vede seduta con la borsa stretta fra le braccia e le scarpe ai piedi mi chiede immediatamente "cosa sta succedendo?"

Un rigurgito esce dalla mia pancia, trasformandosi in un urlo disperato "ho la leucemia"

Ci abbracciamo e piangiamo insieme.

Raccolgo la forze, non posso subire, dopotutto sono una leonessa e i leoni ruggiscono, non piangono!

I mesi e i giorni seguenti sono un pellegrinaggio tra prelievi e visite. Si tratta di trovare la cura migliore.

Io ho una paura atavica per le siringhe, mi costringo a superare questo limite, la posta in gioco è troppo alta per soffermarmi su un ago.

Le analisi confermano la diagnosi e lo stadio del mio tumore. Incontro l'oncologo per stabilire la cura.

Ricordo ancora le sue parole. "La situazione è delicata e la forma di leucemia da lei contratta è brutta. Si tratta di non-hodgkin. Il trattamento deve iniziare al più presto e con radioterapia. Le consigliamo, in ogni caso, di sistemare le cose a casa, in modo da non essere impreparata"

"Sistemare le cose a casa? Sta scherzando? Ho una bambina piccola che intendo vedere crescere".

Così inizia la mia sfida contro il tumore. La vita è anche questo, non sono l'unica.

Non mi lascio abbattere. Durante il trattamento mi bruciano un ovaio, i genitali e la colonna vertebrale è compromessa. Però non ho perso i capelli. Li adoro, lisci lunghi e biondi. Mi fanno sentire donna e mi permettono di non affrontare la questione con il mio dolce scricciolo.

Vado anche in erboristeria per farmi dare un intruglio depurativo. Sono certa che più manterrò pulito il mio corpo, più avrò possibilità di guarigione.

I giorni passano, la mente è sempre rivolta a quella maledetta malattia, ma io ogni giorno la mando affanculo. Lei non può avere la meglio sulla mia vita. Devo vedere la mia piccola diventare donna e voglio assaporare la gioia di diventare nonna.

Concludo il mio ciclo di radioterapia a settembre. Ho un ovaio in meno, i genitali e la schiena zoppi, ma sono viva e fiduciosa.

Alla visita di controllo i medici mi dicono che se per cinque anni non avrò recidive, sarò fuori pericolo.

"Dottore io però ho sempre qualche linea di febbre e dolore costante alla schiena. Mi garantisce che non mi devo preoccupare?"

"Signora, lunedì rientra al lavoro, così si dimentica della febbre perché avrà altro da fare."

Non sono convinta della sua risposta. Non mi sono mai lamentata, ho sempre mantenuto gli standard della mia vita, tranne la sospensione dal lavoro, ma ho sempre e comunque lavorato come un asino.

La mia amica Patrizia mi chiama. Le racconto della mia febbricola costante e lei si allarma.

"Roberta, non mi sembra un bel segno, non sono un medico, ma ho sentito spesso mio padre parlare dei suoi pazienti e quello che mi riferisci mi preoccupa. Purtroppo mio papà è in Cambogia in questo momento, ma conosco un suo grande amico con cui poter parlare, se mi dai il permesso lo contatto immediatamente"

"Chiamalo pure, così mi levo questo dubbio"

Passano i minuti ed io sono in attesa che il mio telefono squilli e Patrizia sia dall'altra parte del ricevitore a darmi notizie confortanti.

Ricordo solo il sudore alle mani, il mio sfregarle l'una contro l'altra, le palpitazioni che mi ricordavano le emozioni, quelle forti, che si provano quando si ha una paura fottuta. "Roberta resta calma, ricorda sei una leonessa e non hai alcuna intenzione di lasciare questo mondo ora".

Squilla il telefono, è Patrizia che mi comunica il verdetto. "L'amico di mio padre è preoccupato, non è assolutamente normale il quadro clinico che gli ho presentato. Ti consiglia di recarti immediatamente dal dottor Comenici nell'ospedale dove sei in cura. Ha lavorato per molti anni con lui e si fida della sua professionalità "

"Cazzo, no! Non può essere che stia succedendo proprio a me! Voglio vivere, non soccombere!"

Ho bisogno di un'ecografia urgente. Smeriglio tutti i miei neuroni per trovare un posto velocemente. Mi consigliano un ottimo radiologo.

Invoco tutte le mie energie positive per ottenere l'appuntamento.

Il sabato sono all'ambulatorio.

Nonostante la febbre e i perpetui dolori che fanno pari con il perpetuo disordine che sta scandendo i miei giorni, le mie settimane negli ultimi mesi.

L'esito è devastante.

"Sei piena ovunque. Il tumore non è regredito, ma si è espanso"

Con l'eco in mano, la rabbia nel cuore mi reco dalla mia dottoressa per ottenere una visita urgente, ma con il dottor Comenici.

La mia dottoressa non è molto convinta della mia insistenza.

Apro la borsa, prendo il portafoglio e metto sulla sua scrivania i soldi che ho nel portafoglio. Mi alzo e mi avvicino a lei, voglio che comprenda esattamente ciò che sto per dirle. Le parole escono da sole, non ho molto bisogno di parafrasare la mia intenzione. "Le bastono questi per fare la telefonata?"

Scioccata per il mio tono perentorio, prende il telefono e chiama il dottor Comenici.

"Cos'ha questa bella bionda?" È stato il benvenuto dell'ematologo.

"Lei mi visita, io la pago e lei deve essere il mio dottore."

"Spiegami perché dovrei farti pagare. Hai diritto alla visita e ad essere curata."

Mi prescrive subito una TAC con contrasto. Il risultato è agghiacciante. Il tumore si sta mangiando il mio corpo.

L'unica soluzione è iniziare al più presto un ciclo di chemioterapia.

Non mi lascio prendere dal panico e cerco di mantenere la mia vita normale.

Farò da testimone di nozze alla mia amica Patrizia e poi inizierò la chemio.

Sono felice di incontrarla, di rivedere suo padre e suo nonno che quando mi vede varcare la soglia mi accoglie dicendomi "tu si che sembri una sposa, Patrizia non capisce nulla di matrimonio. Guarda che vestito si è scelta e che scarpe ha abbinato!" Sorride alla sua battuta. Il nonnino è prossimo ai novant'anni, ma non ha perso l'ironia.

Patrizia indossa un vestito rosso tendente al viola, di seta, abbinato ad un paio di scarpe da ginnastica, intonate all'abito. Io le ho regalato un orologio d'acciaio da donna, sono certa che indosserebbe il suo mastodontico orologio maschile.

Patrizia è così. Non ama conformarsi e non mi aspettavo un abito bianco e scarpe con il tacco, ma le voglio bene proprio perché è autentica e non si lascia condizionare da cliché.

Il suo matrimonio è lo specchio della sua essenza.

Siamo in pochi. I suoi fratelli, i suoi due figli e i testimoni. La macchina che l'accompagna è la mini cooper della sorella guidata da suo fratello che ha un amore incondizionato per i petardi che lancia dal finestrino durante tutto il tragitto dal municipio al ristorante.

Arriva anche in ritardo al matrimonio, ma non perché la sposa deve farsi attendere, ma perché il fratello non si è svegliato in tempo!

Per il pranzo ha scelto un ristorante brasiliano. La sua famiglia è originale quanto lei. Ha dovuto conciliare il menù con un genero senegalese, quindi mussulmano, una sorella celiaca, una madre che non può assumere cibi cucinati con olio e lei intollerante al glutine, lattosio e olio.

Il pranzo è squisito. Carne alla brace e verdura grigliata, la compagnia gioviale.

Più che un matrimonio sembrava di partecipare ad una festa in famiglia, dove la voglia di divertirsi e l'amore fanno da companatico all'ottimo cibo.

I fratelli le hanno regalato il rinfresco, non senza prenderla in giro.

Hanno preparato una scatola, incartato tutti i soldi, uno ad uno, aggiunto rotolini di sola carta per rendere il regalo più divertente e poi le hanno incluso un assegno, intestato ad un noto supermercato, per acquistare la monetina del carrello della spesa. Mi hanno confidato che sono stati svegli per due notti per riempire la scatola, non tanto per la quantità di soldi, ma per il piccolo taglio scelto.

Il suo matrimonio è stato un dolce vento che ha accarezzato la mia anima e alleggerito il pensiero di quei momenti nefasti.

Passa il Natale e pochi giorni prima del nuovo anno inizio il mio percorso con i punturoni di veleno rosso che dovrebbero aiutarmi a sconfiggere la malattia. Sarà una battaglia all'ultimo sangue. Due titani che lottano uno contro l'altro nell'arena del mio corpo. Solo uno avrà la meglio e io tifo per la leonessa dentro di me. Ruggirò, scaglierò zampate con i miei artigli e affonderò i miei denti affilati nel cancro. Se non voglio una cosa, non la prendo e questa bestia putrida proprio non mi piace.

I medici mi avvertono che perderò tutti i capelli e mi consigliano di tagliarli corti.

Accidenti, ora dovrò per forza dare delle spiegazioni alla mia piccola Matilde. Sono a casa da qualche mese, ma sono riuscita a nascondere tutta la mia sofferenza alla mia bimba, ora senza capelli e con il presupposto di una lunga e sofferente convalescenza dovrò darle delle spiegazioni.

"La mamma non va più al lavoro"

"Si ed è bello!"

"Sono a casa perché sono ammalata. Dovrò fare delle punture che mi guariranno, ma perderò tutti i capelli".

Matilde mi guarda incredula con i suoi occhioni verdi e la frangetta rossa, mi sorride e poi ci abbracciamo.

Lei è uno dei motivi per cui, in quell'arena, sarò io a vincere.

Mi compro il gatto sintetico e inizio l'Olimpiade.

I capelli cadono, ricrescono, cadono di nuovo.

Continuo a bere la pozione nefasta dell'erborista. Patrizia mi dice che l'odore è nauseabondo e lo riesce a percepire in cucina, sebbene sia conservato in frigorifero. "Come fai a berlo, ha un odore schifoso, non oso neppure immaginare il suo sapore".

"Sono talmente abituata ad assumerlo che non mi accorgo più di quanto possa essere ripugnante. Penso che solo qualcosa di più schifoso e maleodorante possa scacciare la melma che ho in corpo. Scapperà lontana anni luce pur di non subire un trattamento simile!"

Riesco a non saltare neppure un ciclo di chemioterapia. Raramente indosso il gatto sintetico e conduco una vita apparentemente normale. L'ultimo giorno programmato per la chemio incontro l'ematologo. "Roberta, ricordati che se il tuo cancro è curato tempestivamente ci sono buone possibilità di guarire. Tu, purtroppo, hai una recidiva e la tua aspettativa di vita è al massimo di sette anni, ora."

Lo fisso negli occhi e senza proferire parola alzo il mio dito medio. Non era per lui, naturalmente, ma indirizzato al mio tumore. "Ora non voglio più vedervi. Mi sono sottoposta a tutte le chemio, ho sempre timbrato il cartellino, come un bravo dipendente. Ho permesso a quel veleno di entrare nel mio corpo, ho perso tutti i miei bei capelli biondi e non mi sono diventati gli occhi verdi! Almeno quelli, come ricompensa, me li aspettavo!"

Per tre mesi non torno all'ospedale. I miei capelli iniziano a ricrescere ed io a respirare meglio.

La vita ti riserva sempre sorprese inaspettate, se da un lato ero riuscita a domare il mostro, dall'altro fronte doveva pur accadere qualcosa di inaspettato e drammatico.

Perdo il lavoro, la mia assenza si è protratta troppo a lungo, ma non finisce qui.

Il mio adorato papà muore.

Mi chiudo nel mio dolore, proprio non ci voleva ora, brutto scherzo la vita. Un giorno sei felice e il giorno seguente ti piovono addosso tegole pesanti.

I miei fratelli decidono che vogliono essere liquidati per la quota della casa dove vivo.

Ho dovuto affrontare molte spese, sono senza lavoro e lo stipendio di Francesco basta solo per vivere. Nessuna banca ci concederebbe un mutuo.

Rifletto con mio marito. Sento il bisogno di allontanarmi da quel posto e iniziare una nuova vita altrove.

Lui è originario del lago.

Bene ci trasferiamo lì.

Sono stanca, affaticata e non ancora in forze, ma l'idea di potermi svegliare e godere del riflesso dell'acqua mi aiuta a trovare l'energia per il trasloco.

Parto con i miei 65 scatoloni, Matilde e Francesco e alzo il mio secondo dito medio alla vita.

Nessuno potrà piegarmi. Devo vivere!

La casa è vicina a quella dei miei suoceri, che naturalmente non si sforzano neppure ad aprire una scatola.

Sono sola, con i miei scatoloni, un letto e una cucina posticcia.

Cerco subito un lavoro.

Iscrivo la mia cucciola a scuola e inizio la nuova avventura.

Francesco farà il pendolare per qualche mese. Si può sopportare anche questo. Fondamentale è mantenere la calma e l'ottimismo.

Trovo un lavoro, svuoto le scatole e arredo il mio nuovo nido.

Finché un giorno squilla il telefono. Siamo sole Matilde ed io. Francesco rientrerà la sera per il fine settimana.

È mia sorella. La stessa che il giorno che le ho annunciato la malattia mi ha detto "cosa vuoi che ti dica, io ho un'unghia incarnita del piede e sto male". La stessa che mi ha cacciata di casa quando ero senza lavoro.

Se fossi stata a capo di un esercito non avrei nutrito alcun dubbio sul suo destino. Avrei urlato "tagliatele la testa!"

Non poteva che meritarsi una punizione del genere. Non sono a capo di nessun esercito per cui non posso dare seguito alla mia ira. Decido però che con il trasferimento cambierò il numero di telefono, così non avrà modo di contattarmi.

La telefonata mi sorprende. "Ti devo dare una notizia..."

"La mamma? È successo qualcosa alla mamma?"

"No. La mamma sta bene. È morto Federico".

Cado a terra, ansimo. Tutto mi gira intorno. Non sento più nulla. Non so dove sono. Sono intorpidita.

Matilde prende il telefono e chiede cosa stia succedendo. È angosciata per la mia reazione.

"È morto tuo zio".

Mio fratello. Perché? La vita è ingiusta!

La mia bimba mi porge un bicchiere d'acqua. Lo bevo e chiamo subito i miei vicini di casa.

Si presentano subito all'uscio e restano con noi. Creano un abbraccio che ci solleva dal dolore.

Decido di non chiamare mio marito. È in viaggio per tornare a casa e non voglio che gli accada qualcosa per una distrazione.

Non appena Francesco varca la soglia di casa loro silenziosamente ci lasciano da soli.

Il giorno seguente partiamo. Matilde resta con i nostri amici che le organizzano un pomeriggio insieme ai compagni di scuola.

Mio padre e mio fratello se ne sono andati in poco tempo.

Io devo resistere al mio dolore. La vita continua. La morte è parte integrante del vivere ed io voglio continuare il mio percorso.

Voglio vedere crescere mia figlia.

Il tempo trascorre, ci sono giornate positive e negative. Questa è la vita.

Non penso quasi più al tumore e

mi presento a tutti i controlli. Per tre anni il grande mostro non è più nel mio corpo.

Visti i risultati inaspettati mi chiedono se sono disponibile a fare da cavia peruviana. Vorrebbero studiare il mio midollo e ne prelevano un po' che conservano religiosamente nel caso avessi una ricaduta. Naturalmente loro non sanno che non ne avrò mai bisogno!

I capelli sono ricresciuti, non ho vinto gli occhi verdi, ho le ovaie mummificate, ma sono viva.

Il lavoro che ho trovato sollecita i miei arti per cui, ancora giovane mi operano alla spalla e alle anche. Ora ho anche del metallo nel mio corpo, ma nessuna traccia del cancro.

Soffro per l'umidità del lago. I miei arti sono sempre doloranti per cui , con mio marito, iniziamo ad ipotizzare un nuovo cambio di vita.

Dobbiamo cercare una località dove il clima sia mite ed asciutto e individuiamo un'isola che ci aveva rapiti durante una nostra vacanza.

Vendiamo la nostra casa sul lago, raccogliamo qualche scatolone e partiamo.

Gli scatoloni questa volta non sono 65. Portiamo con noi solo lo stretto indispensabile.

Dopotutto le cose importanti della vita non sono gli oggetti, ma il desiderio di stare insieme. Questa è la vera casa, questo è il vero senso della vita.

Sono passati 23 anni da quel giorno nefasto ed io ho visto crescere la mia bambina e ora posso festeggiare il mio anniversario senza associarlo a quella terribile giornata.



immagine di L'arte del sogno di Ily Ramone




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COMMENTI

Giada04-02-23 12:01
Storia molto toccante, queste cose ti fanno molto riflettere su tutta la gente che si lamenta sempre per delle stupidaggini, e poi succedono queste brutte cose che ti fanno capire quanto è veramente importante la vita che hai. Sono contenta di questa signora che alla fine ha vinto lei e non quel mostro, e può vedere crescere sua figlia♥️. Faccio i miei migliori auguri a Lei, è stata veramente una leonessa . ❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️. Come sempre brava Paola per tutte queste storie che scrivi, ci fai percepire tante cose. Un abbraccio fortissimo

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